Trattati Biblici
Pubblicazioni > 11) DOVE SONO I MORTI?
Dove Sono i Morti?
L'Inferno
La versione ebraica dell'Antico Testamento usa 64 volte la parola «sheol» che, nella versione di Monsignor Martini, ad esempio, appare 40 volte per «inferno», 17 volte per «sepolcro», 1 volta per «morte». Dovrebbe essere chiaro ad ognuno che la parola «sheol» nel corrispettivo italiano dovrebbe avere sempre lo stesso significato e non una volta inferno ed un'altra sepolcro o morte. La parola «sheol» appare per la prima volta in Genesi 37: 35, dove si parla del patriarca Giacobbe, afflitto oltremodo per la perdita del suo figlio Giuseppe, da lui creduto vittima di un animale feroce. Questa notizia spezzò il cuore del vecchio che espresse il suo grande dolore con queste parole: «Certo io scenderò con cordoglio al mio figlio, nel sepolcro». Giacobbe si servì in questa circostanza della parola «sheol» e disse che il suo dolore l'avrebbe condotto, presso suo figlio. Giacobbe era un fedele servo di Dio ed anche il suo figliuolo Giuseppe. Perchè dunque il destino di queste due creature sarebbe stato un inferno di tormenti eterni? Non erano tutti e due buoni abbastanza da non meritare questo supplizio?
LA PREGHIERA DI GIOBBE
Fermiamo la nostra meditazione su Giobbe. Egli era un uomo di Dio e la Scrittura afferma che era integro e retto (Giobbe 1: 8); un uomo talmente santo che sembrava dover andare immediatamente in cielo dopo la sua morte piuttosto che al tradizionale inferno dei tormenti eterni. Ma Giobbe non si aspettava di andare in cielo. Essendo, dunque, Giobbe reputato un uomo giusto, Dio permise che molte sventure e sofferenze si abbattessero su di lui. Tutti abbiamo sentito parlare o letto della sua pazienza, che gli permise di sopportare le prove più difficili. (Giacomo 5: 11). Ma venne il momento in cui egli percepì che la morte era da preferirsi ai mali; che incessanti si abbattevano su di lui, ed alle parole inopportune dei suoi amici, parenti e della sua stessa moglie. Allora, dal fondo delle sue miserie, si indirizzò a Dio e lo pregò in questi termini : «Oh ! volessi tu nascondermi nel soggiorno dei morti, tenermi occultato finché l'ira tua sia passata » (14: 13). Giobbe si servì della parola «sheol», tradotta qui per «soggiorno dei morti». E' questo dunque l'inferno della Bibbia? Ci troviamo di fronte all'esempio di un uomo sofferente moralmente e fisicamente fino all'agonia! Egli aveva perduto i suoi figli, il suo bestiame grande e minuto, il suo corpo era ricoperto di ulcere maligne e perfino la sua donna si era rivoltata contro di lui.
Ebbene, in tale condizione Giobbe non ha chiesto a Dio di gettarlo in un luogo di sofferenze, senza alcuna speranza di uscita. Perchè Giobbe sollecitava Iddio di mandarlo all'inferno? Perchè egli sapeva che l'inferno della Bibbia (cioè la tomba) era, ed è, uno stato di quiete, di riposo, di silenzio. Salomone, l'uomo più saggio dell'Antico Testamento, scrittore ispirato da Dio, a proposito dello «sheol» o « inferno» afferma che in quel luogo non sussiste «nè opera, nè ragione, nè conoscimento, nè sapienza alcuna.» (Ecclesiaste 9: 10). Giobbe non ignorava tutto ciò: da qui la sua preghiera a Dio di lasciarlo morire e mandarlo nello «sheol» od «inferno». Egli era stanco di soffrire e desiderava vedere un termine a queste sofferenze. Sapendo che la morte sarebbe stata per lui una liberazione, giunse persino ad invocarla, esprimendo rammarico di non essere morto il giorno stesso in cui fu concepito e nacque: «Perchè non morii nel seno di mia madre? Perchè non spirai appena uscito dalle sue viscere? Ora mi giacerei tranquillo, dormirei». (Giobbe 3: 11-13).
Giobbe aspirava, dunque, a quella condizione di tranquillità e di riposo, nell'incoscienza, con «i re ed i consiglieri della terra, laggiù ci sono piccoli e grandi, il servo e lo schiavo è libero dal suo signore». In questo stato di morte «gli empi cessano di travagliare altrui e quivi si riposano gli stanchi.» (Giobbe3 : 13-19). Quale verità sorprendente! Così, dunque, alla morte, i re, i principi, i giudici, i piccoli, i grandi, i cattivi, gli stanchi, tutti vanno in un medesimo luogo, un luogo di tranquillità e di riposo, di sonno e di incoscienza. Nulla di strano, quindi, che Giobbe, dimenticato da sua moglie e dai suoi amici, corroso da ulcere, desiderasse discendere in questo luogo. Questa concezione dell'inferno differisce — come si rileva chiaramente — da quella che oggi molti hanno. Ma vi è di più : non soltanto Giobbe desiderava andare all'inferno, ma sperava di esserne tratto fuori. Infatti, egli esclamava: «Oh! Volessi tu nascondermi nello Sceol, occultami finché l'ira tua sia passata, fissami un termine, e ricordati di me ... mi chiameresti ed io ti risponderei tu avresti un grande desiderio per l'opera delle tue mani?» (Giobbe 14: 13-15).
Così Giobbe non pensava di rimanere nell'inferno della Bibbia se non fino a quando l'ira di Dio fosse passata. E che voleva dire, parlando dell'ira di Dio? L'apostolo Paolo vi fa allusione, scrivendo che questa viene riversata dal cielo contro tutte le empietà. (Romani 1:18). Questa collera non è altro che la condanna del peccato del mondo. Lo stesso apostolo dichiara altrove: La condanna si è estesa a tutti gli uomini.» (Romani 5: 18). Questa condanna non è altro che la morte, manifestazione dell'ira e della riprovazione divina contro un mondo immerso sino in fondo nel male. Rileviamo ancora che la speranza di Giobbe di essere liberato dall'inferno, dopo la manifestazione dell'ira di Dio, coincide con le parole di Gesù, riportate in Giovanni (5:28): «L'ora viene che tutti coloro che sono nei sepolcri, ascolteranno la sua voce ed usciranno». Ed ecco la nostra conclusione sul soggetto di cui sopra : confrontando la credenza tradizionale dell'inferno con le concezioni di Giobbe, la troviamo errata sotto tre aspetti principali :
1 ) Non è un luogo dove Dio esercita una qualsiasi vendetta contro gli esseri umani, ma uno stato in cui tanto i buoni, quanto i cattivi, sono preservati dai mali che colpiscono il mondo dei viventi.
2) E’ una condizione di incoscienza, di riposo e non di tormenti.
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