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Giordano Bruno
Giordano Bruno, nato Filippo Bruno ( Nola, 1548 – Roma 1600 ), è stato filosofo, scrittore e frate domenicano. A 14 anni o 15 circa, rinuncia al nome di Filippo come imposto dalla regola domenicana, e assume il nome di Giordano, in onore del Beato Giordano di Sassonia , successore di San Domenico, prende quindi l'abito di frate domenicano dal priore del convento di San Domenico Maggiore a Napoli , Ambrogio Pasca, non già per un interesse alla vita religiosa o agli studi teologici - che mai ebbe, come affermò anche al processo - ma per potersi dedicare ai suoi studi prediletti di filosofia con il vantaggio di godere della condizione di privilegiata sicurezza che l'appartenenza a quell'Ordine potente certamente gli garantiva.
Che egli non fosse entrato fra i domenicani per tutelare l’ortodossia della fede cattolica lo rivelò subito l’episodio – narrato dallo stesso Bruno al processo – nel quale fra’ Giordano, nel convento di San Domenico, buttò via le immagini dei santi in suo possesso, conservando solo il crocefisso. Nel 1570 fu ordinato suddiacono , diacono nel 1571 , studente di teologia nel 1572 e sacerdote nel 1573 , celebrando la sua prima messa nel convento di San Bartolomeo a Campagna , presso Salerno , a quell'epoca appartenente ai Grimaldi principi di Monaco [9], e nel 1575 si laureò in teologia con due tesi su Tommaso d'Aquino e su Pietro Lombardo.
Non bisogna pensare che un convento fosse esclusivamente un'oasi di pace e di meditazione di spiriti eletti: soltanto dal 1567 al lt 1570, nei confronti dei frati di San Domenico Maggiore furono emesse diciotto sentenze di condanna per scandali sessuali, furti e perfino omicidi: non deve pertanto stupire il disprezzo che Bruno ostentò sempre nei confronti dei frati, ai quali rimproverò in particolare la mancanza di cultura. Tuttavia, la possibilità di formarsi un'ampia cultura non mancava certo nel convento di san Domenico Maggiore, famoso per la ricchezza della sua biblioteca ma dove, come negli altri conventi, erano vietati i libri di Erasmo da Rotterdam che però Bruno si procurò in parte, leggendoli di nascosto. L'esperienza conventuale di Bruno fu in ogni caso decisiva: vi poté fare i suoi studi, formare la sua cultura leggendo di tutto: di Aristotele e di Tommaso d'Aquino, di san Gerolamo e di san Giovanni Crisostomo , di Marsilio Ficino , di lt Raimondo Lullo e di Nicola Cusano.
Le Opere:
Le prime opere Parigine
Il De umbris idearum
Il Cantus Circaeus
Candelaio
Le opere londinesi
La Cena de le Ceneri
De la causa, principio et uno: la Vita come materia infinita
Il De l'infinito, universo e mondi
L'etica civile: lo Spaccio de la bestia trionfante
Gli Eroici furori
La negazione della dottrina Trinitaria
Nel 1576 la sua indipendenza di pensiero e la sua insofferenza verso l'osservanza dei dogmi si manifestò inequivocabilmente: Bruno, discutendo di arianesimo con un frate domenicano, Agostino da Montalcino, ospite nel convento napoletano, sostenne che le opinioni di Ario erano meno perniciose di quel che si riteneva, dichiarando che….
«…Ario diceva che il Verbo non era creatore né creatura, ma medio intra il creatore et la creatura, come il verbo è mezzo intra il dicente et il detto, et però essere detto primogenito avanti tutte le creature, non dal quale ma per il quale è stato creato ogni cosa, non al quale ma per il quale si refferisce et ritorna ogni cosa all'ultimo fine, che è il Padre, essagerandomi sopra questo. Per il che fui tolto in suspetto et processato, tra le altre cose, forsi di questo ancora».
Così riferì nel 1592 all'inquisitore veneziano dei suoi dubbi sulla Trinità, ammettendo di aver «dubitato circa il nome di persona del figliolo e dello Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte dal Padre», ma considerando, neoplatonicamente , il Figlio l' intelletto e lo Spirito, lt pitagoricamente , l' amore del Padre o l'anima del mondo, non dunque persone o sostanze distinte, ma manifestazioni divine.
La fuga da Napoli
Denunciato da fra Agostino al padre provinciale Domenico Vita, Bruno partì da Napoli e andò a Roma nel 1576, ospite del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva . Sono anni di gravi disordini: a Roma sembra non farsi altro, scriveva il cronista marchigiano Gualtiero Gualtieri , che "rubare e ammazzare: molti gettati nel Tevere". Anche Bruno è accusato di aver ammazzato e gettato nel fiume un frate, abbandona allora l'abito domenicano, riassume il nome di Filippo e incomincia un lungo pellegrinaggio attraverso le città di Savona, Torino, Venezia dove imperversa la peste facendo migliaia di vittime anche illustri fra i quali Tiziano, va a Padova dove, dietro consiglio di alcuni domenicani, riprende il saio, quindi Brescia.
Nel 1579 è a Ginevra, città dove è presente una numerosa colonia di italiani riformati , aderisce al calvinismo e trova lavoro come correttore di bozze. È probabile che Bruno volesse farsi notare, dimostrare l'eccellenza della sua preparazione filosofica e delle sue capacità didattiche per ottenere un incarico d'insegnante, costante ambizione di tutta la sua vita. Anche la sua adesione al calvinismo era mirata a questo scopo; Bruno fu in realtà indifferente a tutte le confessioni religiose: nella misura in cui l'adesione a una religione storica non pregiudicasse le sue convinzioni filosofiche e la libertà di professarle, egli sarebbe stato cattolico in Italia , calvinista in Svizzera , anglicano in Inghilterra e luterano in lt Germania .
Nel 1592 si stabilì in casa del patrizio veneziano Mocenigo, questi il 23 maggio presentò all' Inquisizione una denuncia scritta, accusandolo di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità divina e nella transustanziazione, di credere nell'eternità del mondo e nell'esistenza di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi , di negare la verginità di Maria e le punizioni divine. Quella sera stessa Bruno fu arrestato e rinchiuso nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in San Domenico a Castello.
L'Inquisizione
L'Inquisizione romana chiede però la sua estradizione, che viene concessa, dopo qualche esitazione, dal Senato veneziano. Il 27 febbraio 1593 Bruno è rinchiuso nelle carceri romane del Palazzo del Sant'Uffizio. Giordano Bruno non rinnegò i fondamenti della sua filosofia: ribadì l'infinità dell'universo, la molteplicità dei mondi. All'obiezione dell'inquisitore, che gli contesta che nella Bibbia è scritto che la «Terra stat in aeternum» e il sole nasce e tramonta, risponde che vediamo il sole «nascere e tramontare perché la terra se gira circa il proprio centro»; alla contestazione che la sua posizione contrasta con «l'autorità dei Santi Padri», risponde che quelli «sono meno de' filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura»
Giordano Bruno fu forse torturato alla fine di marzo 1597, secondo la decisione della Congregazione. Il 12 gennaio 1599 è invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell'immortalità dell'anima, la sua concezione dell'infinità dell'universo e del movimento della Terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla Congregazione dei cardinali inquisitori, tra i quali il Bellarmino.
Il monumento in bronzo a Giordano Bruno nella piazza romana
di Campo de' Fiori, opera dello scultore Ettore Ferrari (1889)
Una successiva applicazione della tortura, proposta dai consultori della Congregazione il 9 settembre 1599 , fu invece respinta da papa Clemente VIII . Nell'interrogatorio del 10 settembre Bruno si dice ancora pronto all'abiura, ma il 16 cambia idea e infine, dopo che il Tribunale ha ricevuto una denuncia anonima che accusa Bruno di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo Spaccio della bestia trionfante direttamente contro il papa, il 21 dicembre rifiuta recisamente ogni abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire.
L'8 febbraio 1600, dinnanzi ai cardinali inquisitori e dei consultori Benedetto Mandina , Francesco Pietrasanta e Pietro Millini, è costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo; si alza e ai giudici indirizza la storica frase: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla»). Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua in giova - serrata da una morsa perché non possa parlare - viene condotto in piazza Campo de' Fiori , denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.
A distanza di 400 anni, il 18 febbraio 2000, papa Giovanni Paolo II, tramite una lettera del suo segretario di Stato Sodano inviata ad un convegno che si svolse a Napoli, espresse profondo rammarico per la morte atroce di Giordano Bruno, non riabilitandone la dottrina: la morte di Giordano Bruno "costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo rammarico". Tuttavia, "questo triste episodio della storia cristiana moderna" non consente la riabilitazione dell'opera del filosofo nolano arso vivo come eretico, perché "il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana".
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