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Gli Eretici   dal
Medioevo alla Riforma





Pier Martire Vermigli
(Firenze 1499 - Zurigo 1562)


Pier Martire Vermigli incarnò una rara combinazione nell’Europa del 16° secolo: un teologo cattolico italiano che divenne uno dei maggiori riformatori protestanti del suo tempo. La sua sfera di influenza comprese alcuni fra i maggiori centri del movimento di Riforma: la  Strasburgo di Bucero, l’Oxford dell’arcivescovo Cranmer (dove fu regio professore di teologia dal 1547 al 1553) e la Zurigo di Bullinger.


Pietro Martire Vermigli dipinto da Hans Asper ca 1560

Pier Martire Vermigli nacque a Firenze l’8 settembre 1499. Il nome "Pier Martire", abbastanza comune fra gli agostiniani, lo assunse egli stesso nel 1518, quando entrò nell’ordine dei Canonici lateranensi. Si sa poco dei suoi primi anni di vita. Nella sua prolusione inaugurale a Zurigo nel 1556 ebbe a dire: "Persino nella mia gioventù, quando vivevo in Italia, c’era una sola cosa alla quale io prestassi attenzione, oltre ad ogni arte ed ordinanza umana, se non primariamente imparare ed insegnare le Sacre Scritture, né io ebbi altro proposito di conseguire".

Seguendo questa convinzione, sebbene andasse contro la volontà del padre, Vermigli si associò nel 1514 alla Congregazione Lateranense dei Canonici Regolari di S. Agostino. Il giovane fiorentino fu mandato a studiare all’università di Padova, dove, nella facoltà di teologia, si immerse nello studio di Aristotele. Gli anni di studio a Padova si conclusero con la sua ordinazione sacerdotale ed con un dottorato in teologia (1526), in seguito al quale divenne predicatore agostiniano.

Durante la fase italiana della sua carriera egli si distinse come eminente teologo, eloquente predicatore e riformatore della morale. In tutte le città che visitava l’uditorio ammirava la sua  eloquenza. Scrisse: "La predicazione è oggi messa da parte, benché questo sia il principale ufficio apostolico… onde il gregge di Cristo o muore di fame o è solo stentatamente e mal pasciuto. Si predica solo il breve e picciol tempo della Quaresima… ma poi tutto il rimanente dell’anno si pensa solo a passeggiare, gridare, cantare, sonare, senza udir parola che possa il misero popolo edificare". Si mise a studiare a fondo il greco e, cosa piuttosto rara a quei tempi, l’ebraico, per avere il bagaglio culturale che gli permettesse l’accesso diretto all’Antico e al Nuovo Testamento.

Divenne il confessore di potenti prelati sotto Papa Paolo III. Probabilmente fu pure consulente del "Consilium de emendanda ecclesia" del 1537 e fu incaricato dal cardinale riformista Contarini di far parte della prima delegazione che cercò la riconciliazione con i protestanti al Colloquio di Worms nel 1540. Erano quelli anni di tensione e di contestazione all’interno della Chiesa. Nell’Europa centro-settentrionale, da oltre un decennio, clero e laici si trovavano in aperto dissidio con Roma. E in seno alla stessa Curia molti auspicavano una riforma che emendasse i costumi, pur senza toccare la dottrina. A queste forze rinnovatrici Vermigli si ricollegò, come predicatore prima e come abate e priore poi.

La trasformazione teologica del Vermigli iniziò durante il periodo trascorso in un’abbazia di Napoli, quando subì l’influenza del riformatore spagnolo Juan de Valdés. Fu nel circolo napoletano del Valdés che Vermigli incontrò membri del movimento italiano di riforma e dove lesse per la prima volta le opere dei  riformatori protestanti come Martin Bucero e Zwingli. Questo contribuì a fargli abbracciare la dottrina luterana della giustificazione per sola fede.

A Lucca, dove fu nominato priore del convento di S. Frediano, avevano già attecchito le idee della Riforma ed egli contribuì a farne, anche se solo per breve tempo, "la più protestante città d’Italia" e vi stabilì, secondo Philip McNair, "la prima ed ultima facoltà teologica riformata nell’Italia pre – tridentina". Non si limitò, infatti, a richiamare i canonici all’osservanza della regola, ma si dedicò  intensamente all’educazione dei novizi. La sua scuola, frequentata anche da eminenti cittadini laici, divenne un seminario di predicatori evangelici e un centro di rinnovamento culturale.

L’urto con Roma divenne inevitabile. Dopo la bolla papale del luglio 1542 Licet ab initio di Paolo III Farnese, fu centralizzato a Roma il Tribunale dell’Inquisizione e posto sotto il pugno di ferro del Cardinale Carafa. Accusato di eresia e invitato a Genova a discolparsi davanti al capitolo del suo ordine, piuttosto che rimanere stritolato dagli ingranaggi dell’Inquisizione, preferì fuggire a nord, oltre le Alpi, presso il nascente Protestantesimo.

Fu insegnante di teologia a Strasburgo e a Zurigo. Nel 1545 vi fu un accordo fra zwingliani e calvinisti sul senso da dare all’Eucarestia: il Consensus Tigurinus, nel quale fu abbandonata l’interpretazione di Zwingli che il pane e il vino della Santa Cena sono solo simboli e che per celebrarla non c’è bisogno di sacerdoti o pastori. Dal 1545 fu accettata anche dai seguaci di Zwingli la dottrina calvinista di una presenza "sostanziale, reale, spirituale" della Divinità nella Cena e che per officiarla era indispensabile la presenza di un pastore, cioè di un clero di valore superiore a quello dei singoli credenti. Vermigli accettò questo compromesso, ma, essendo più tollerante dei calvinisti, difese l’eretico Pietro Ramo, sostenitore della primitiva interpretazione zwingliana dell’Eucarestia,  quando fu condannato dal calvinista Beza per aver sostenuto che nei sinodi protestanti le decisioni non dovessero essere prese solo dai pastori ma anche da un’assemblea di fedeli laici.

Per la sua fama di teologo erudito, Vermigli accolse l’invito di trasferirsi in Inghilterra.  L’arcivescovo Thomas Cranmer gli offrì la cattedra di Regius Professor di Teologia all’università di Oxford (1547-1553). Sostenne vigorosamente la dottrina eucaristica protestante nella famosa disputa di Oxford del 1549, si consultò con il vescovo Hooper nella controversia del 1550, assistette Cranmer nella revisione del Prayer Book, partecipò alla formulazione dei 42 Articoli di Religione nel 1553 ed ebbe parte prominente nel formulare le leggi ecclesiastiche inglesi nella cosiddetta Reformatio Legum Ecclesiasticarum (1551-1553), contribuendo in modo decisivo alla riforma della Chiesa di Inghilterra. Numerosi allievi del Vermigli divennero più tardi vescovi anglicani e i suoi scritti furono importanti punti di riferimento per i futuri teologi puritani.

Il suo soggiorno in Inghilterra fu troncato improvvisamente dall’ascesa al trono di Maria Tudor nel 1553. La persecuzione dei riformati seguita alla restaurazione cattolica lo costrinse a fuggire a Strasburgo, dove giunse "come scampato dalle fauci del leone". Qui l’atmosfera era profondamente mutata. La guerra tra Carlo V e la lega di Smalcalda era allora in corso e sarebbe terminata solo con la pace Augusta del 1555. A causa di questi eventi, Vermigli lasciò Strasburgo e tornò a Zurigo.

Questa città fu per lui il punto di arrivo, l’ultima tappa del suo travagliato pellegrinaggio. Nel pieno della maturità, circondato dalla massima stima, lasciò qui le tracce più profonde del suo pensiero. Prossimo ormai ai 60 anni, malgrado la salute malferma, insegnò all’Università, si occupò delle comunità riformate italiana e inglese, intrattenne un’intensa corrispondenza con Calvino e con i riformatori svizzeri, tedeschi, francesi e polacchi. La sua presenza a Zurigo portò ad un crescente ravvicinamento della chiesa locale con quella di Ginevra, culminato nella Seconda Confessione Elvetica del 1566, nelle cui formule riaffiora qua e là il pensiero di Vermigli.

La sua influenza non cessò con la sua morte, avvenuta nel 1562. Continuarono a circolare i suoi scritti, che per oltre un secolo conobbero una straordinaria diffusione. Si calcola che tra il 1533 e il 1656 siano apparse oltre 110 edizioni delle sue opere, che, con l’eccezione del giovanile "Catechismo", sono tutte in latino, la lingua internazionale dell’epoca. Mancò forse al Vermigli un luogo dove esercitare la sua influenza, come Calvino a Ginevra e  Bullinger a Zurigo.

Piccolo di statura, gracile di costituzione, di carattere schivo, aveva tutte le caratteristiche per finire inosservato i suoi giorni, senza lasciare tracce nella storia. E invece ne ha lasciate, e profonde. Mite di carattere, amante della pace, gli eventi lo portarono a vivere in mezzo a controversie e conflitti. Ebbe il coraggio di non tirarsi indietro. Nel suo agire fu coerente e sincero. Soprattutto fu, come scrive di lui Ruffini, "la testa teologica forse più forte di tutta l’emigrazione italiana".

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