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Gli Eretici dal
Medioevo alla Riforma
Gioacchino da Fiore
(Celico 1130 circa – Pietrafitta 30 marzo 1202)
Già Agostino, prendendo in esame la situazione del tempo e riferendosi ai pericoli imminenti sull’impero romano, dopo aver suddiviso la storia in epoche, partendo dalla Creazione, considerava quella come l’ultima, a cui doveva seguire la fine (senza fornire, però, una datazione precisa). La dottrina agostiniana delle età del mondo venne ulteriormente sviluppata e diffusa nelle opere storiche del venerabile Beda e di Isidoro, arcivescovo di Siviglia, che ebbero un’influenza determinante sul storiografia e l’esegesi medievale. Ma dopo la grande Riforma dell’XI secolo e, soprattutto, a seguito delle interpretazioni dell’abate Ruper di Deutz, del premonstratense Anselmo di Havelberg e di Ildegarda di Bingen, emersero delle nuove elaborazioni che subentrarono alla tradizionale concezione apocalittica e che cominciarono a sostituire al nuovo avvento di Cristo 1’opera dello Spirito Santo sulla terra.
Gioacchino nacque in Calabria a Celico (Cosenza) intorno al 1130. Era figlio di contadini ("Homo agricola ego sum") ma poté studiare a Cosenza il latino e il greco. All’età di soli diciotto anni, durante la seconda crociata (1147–1148), propagandata da Bernardo di Chiaravalle, andò come pellegrino in Terra Santa. Visitò prima Costantinopoli, poi la Siria, dove resisté a mala pena alla tentazione di fare all’amore con una seducente vedova, e infine la Palestina, fermandosi a lungo a Gerusalemme e nel deserto della Giudea. Qui, nutrendosi di pane e acqua, maturò la vocazione monastica. Rientrato in patria intorno al 1152, all’età di ventidue anni entrò nel cenobio cistercense della Sambucina, dove qualcuno dei monaci lo avviò allo studio delle Sacre Scritture. Il fatto fu poi narrato dagli agiografi in modo miracoloso. Riferirono che "un angelo" (in pratica un messaggero di Dio) gli aveva offerto con una coppa di vino "il dono della conoscenza" della Parola di Dio.
Gioacchino da Fiore (F. Jerace)
Nel 1177, a circa quarantasette anni, lasciò la Sambucina per andare a fare l’abate nel monastero cistercense di S.Maria del Corazzo. dove si dedicò interamente allo studio della Bibbia e scrisse alcune delle sue opere più importanti come la Cetra dalle dieci corde. Nel 1182 per proseguire i suoi studi, che non riusciva a portare avanti per i vari impegni come abate, Gioacchino chiese ed ottenne il permesso di ritirarsi nell’abbazia di Calamari. Da qui, nel 1183, si recò a Veroli, nel Lazio, dal pontefice Lucio III (1181-1185) per esporgli la sua interpretazione delle Scritture ed ottenere il permesso di scriverla.
Il papa glielo concesse, ma morì. Tre anni dopo, nel 1186, andò per lo stesso motivo a Verona dal nuovo papa, Urbano III (1185-1187). Questi non solo glielo accordò, ma lo invitò a scrivere un commento all’Apocalisse. Gioacchino ne fu entusiasta e scrisse la famosa Expositio in Apocalypsim. Negli anni che vanno dal 1188 al 1190 entrò in contrasto con l’Ordine cistercense, che concedeva poco allo studio e alla meditazione a vantaggio di attività mondane e impegni secolari. Gioacchino aveva bisogno di solitudine e si ritirò nel piccolo eremo di Pietralata sulla Sila cosentina. Da lì salì sulle montagne per fondarvi un cenobio che fosse il germoglio della nuova età dello Spirito Santo e che perciò chiamò "Fiore", da lui dedicato allo scrittore dell’Apocalisse, San Giovanni.
Molti monaci cistercensi lo raggiunsero. Fu così fondato il nuovo Ordine Florense, la cui regola fu approvata dal papa Celestino III nel 1196. Gioacchino ottenne un’elevata popolarità, anche a livello europeo, e il suo monastero ricevette ricche e frequenti donazioni, perfino dall’imperatore Enrico VI e Costanza. Scrisse infine il Trattato sui quattro vangeli e il Libro sulla concordia del Nuovo e Vecchio Testamento, il suo libro principale. Morì a Pietralata, nella Sila, il 30 marzo 1202. Aveva circa settantadue anni.
Quando Gioacchino era ancora in vita ed aveva cinquantanove anni, il teologo francese Pietro Lombardo scrisse un’opera sulla trinità in cui affermava che l’essenza divina, comune alle tre persone, era " nec generans, nec genita nec procedens". Gioacchino gli rispose scrivendo un libro (De unitate et essentia trinitatis) in cui diceva che se Dio non è generante come Padre, non è generato come Figlio e non è procedente come Spirito Santo, allora è un altro Dio da aggiungere ai tre per farne quattro. Innocenzo III era un fervente ammiratore del Lombardo e al Concilio lateranense del 1215 condannò l’opera di Gioacchino, che non poté difendersi perché era morto da tredici anni. Fu dichiarato eretico chiunque ne seguisse il pensiero.
Gioacchino interpretò il piano divino delle età in funzione trinitaria. Così il battesimo nel "nome" (cioè nella piena autorità) del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo implicava per lui una perfetta conoscenza del piano storico di Dio.
Il piano divino delle età secondo Gioacchino da Fiore
L’età (status) del Padre da solo (sine lege) comprende la prima era, quella prediluviana da Adamo a Noè, la seconda era, quella da Noè ad Abrahamo e la prima parte della terza era è quella da Abrahamo a Mosè. La terza era infatti va da Abrahamo a Davide.
L’età (status) del Padre col Figlio (sub lege) va da Mosè a Cristo e comprende la seconda parte della terza era, cioè quella da Mosè a Davide, la quarta era, quella da Davide alla cattività babilonese e la quinta era, quella dalla cattività babilonese a Cristo.
La sesta era va dal primo al secondo avvento di Cristo ed è l’era evangelica. In essa si comprende l’età del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che è il primo avvento di Gesù., e l’età di Gesù con lo Spirito Santo, che va dalla Pentecoste al secondo avvento di Cristo. È l’era cristiana (sub gratia), divisa nelle prime sei epoche dell’Apocalisse (le prime sei delle sette Chiese dell’Asia, le prime sei delle sette trombe e i primi sei dei sette sigilli), di cui la prima è quella degli apostoli e della Chiesa primitiva. Durante questa età del Vangelo, che secondo Gioacchino sarebbe durata 1260 anni, lo Spirito Santo è versato solo sulla Chiesa e non sul mondo.
L’età (status) dello Spirito Santo da solo è la settima era (nova aetas) o età sabbatica, in cui lo Spirito divino sarà versato su ogni carne. Il Vangelo eterno, che vi sarà predicato, è lo stesso Vangelo di Cristo ma letto nello Spirito durante questa età futura. Quest’ultima età di pace universale sarà inaugurata all’inizio della settima epoca dell’Apocalisse col ritorno invisibile di Cristo o papa spirituale o DVX (il canis di Gioacchino o veltro di Dante) e con una grande afflizione. Esso sarà annunciato dalla settima tromba e dall’apertura del settimo sigillo. Ciò fa sì che sensu stricto l’età evangelica sia suddivisa in sei periodi, appartenendo il settimo già alla nuova era.
Il "canis" di Gioacchino è evidentemente riferito al secondo avvento di Cristo, che è il "veltro" di Dante
Ma fu il terzo status, quello dello Spirito, a far scaturire non poche domande e interpretazioni su quello che sarebbe dovuto essere l’ordinamento della Chiesa, le sue istituzioni e i sacramenti nell’età dello Spirito Santo. Particolarmente oscuro fu il suo giudizio sul papato e sul destino della gerarchia ecclesiastica nel terzo status. Sulla cattedra di Pietro sedeva Innocenzo III, uno dei pontefici più impegnati nella difesa del potere temporale e del dominio della Chiesa sul mondo. La domanda che i contemporanei di Gioacchino si ponevano era se, nel terzo status, vi sarebbe stata solo una purificazione e spiritualizzazione del papa o anche un superamento di esso?
Per Gioacchino, con ogni probabilità, la Chiesa romana non era la forma definitiva del progetto salvifico cristiano. Le sue norme, il suo diritto, le sue istituzioni erano perfezionabili, quindi mutabili per tendere a una futura Chiesa totalmente diversa. La concezione escatologica di Gioacchino venne vista con sospetto dalle gerarchie ecclesiastiche. Dopo la sua morte, molti movimenti religiosi interpretarono il terzo status come un’era in cui ci sarebbe stata solo un’Ecclesia Spiritualis, una chiesa che poteva fare a meno del papa, della gerarchia e dei sacramenti, con la creazione di un nuovo ordine di tipo monastico, che avrebbe rinunciato ad ogni bene temporale.
Per questo motivo nel IV Concilio Lateranense del 1215, venne condannato (e non solo per il suo scritto sulla Trinità, che servì da pretesto) e, verso la metà dello stesso secolo, circa cinquant’anni dopo la sua morte, una commissione di tre cardinali ad Anagni respinse alcune formule riportate negli scritti originali di Gioacchino.
Un altro grande contributo dato da Gioacchino fu il seguente. Nella Bibbia i giorni profetici sono anni. Così i 1260 giorni dell’era cristiana sono 1260 anni. Tale spiegazione illuminerà nei secoli successivi fino ad oggi molti studiosi delle Sacre Scritture. Per il teologo calabrese quei 1260 anni sarebbero finiti nell’anno 1260 e ciò provocò allo scadere di quella data ondate di penitenti per tutta l’Europa (i flagellanti). Il movimento nacque a Perugia ma si estese ben presto ovunque. Tommaso da Celano compose il "Dies irae" per quella fatidica data. Dante Alighieri seguì Gioacchino alla lettera nella "Divina Commedia".
Inferno I: 92 – 11
Inferno XIX: 106 – 117
Purgatorio XXXIII: 37 - 45
Paradiso XV: 56,57
Paradiso XXXIII: 115 – 120
Dal 2005 nella teologia cattolica esiste una corrente "neo-gioacchimita", la quale sostiene che, annunciando il Regno dello Spirito, il profeta non aveva torto. Sbagliò solo riguardo al tempo. Non 1260 ma 700 anni più tardi questo Regno sarebbe venuto nella Chiesa, conducendola alla Rivoluzione del Concilio Vaticano secondo. Israele non è stato rigettato e la libertà di coscienza non è follia ma la volontà di Dio.
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