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Arianesimo
'Arianesimo è il movimento teologico più rilevante del IV secolo: secondo Ario, sacerdote di Alessandria d'Egitto (256-336), la figura del Padre deve collocarsi in posizione preminente all'interno della Trinità, subordinando così il Figlio al Padre e riducendo la figura di Gesù alla dimensione umana, soltanto in rapporto di somiglianza con quella divina.
Ario considera veramente trascendente e "increato" soltanto il Padre, che sarebbe l'unico e vero Dio: quindi Gesù non può essere considerato realmente Dio, anche se - in quanto suo figlio - partecipa alla grazia divina; secondo Ario anche il Verbo (o "Logos") non è vero Dio.
Sebbene Ario fosse stato scomunicato per eresia (Liber Pontificalis - XXXIIII. Silvester - par. 4) e la sua dottrina condannata, l’Arianesimo resistette a lungo, tanto da diventare religione ufficiale dell'impero romano durante il regno di Costanzo II. Originatasi in Egitto si diffuse soprattutto in Oriente e nel IV secolo anche in Italia. I germani cristianizzati furono inoltre i maggiori seguaci dell'arianesimo, fino al VII secolo.
Egli non negava la Trinità, ma subordinava il Figlio al Padre, negandone la "consustanzialità" che sarà poi formulata nel concilio di Nicea (325) nel credo niceno-costantinopolitano, nel quale appunto si definì l'impalcatura dottrinale del cristianesimo cattolico ("universale") che si diffonderà ed imporrà nei secoli successivi.
Alla base della sua tesi vi era la convinzione che Dio, principio unico, indivisibile, eterno e quindi ingenerato, non potesse condividere con altri la propria ousìa, cioè la propria essenza divina. Di conseguenza il Figlio, in quanto “generato”, non può partecipare della sua sostanza (negazione della consustanzialità), e quindi non può essere considerato Dio allo stesso modo del Padre (proprio perché la natura divina è unica), ma può al massimo esserne una creatura: certamente una creatura superiore, divina, ma finita (avente cioè un principio) e per questo diversa dal Padre, che è invece infinito.
Essendo infatti un "figlio" (e quindi "venuto dopo" Colui che lo ha generato) non esiste dall'eternità, mentre la natura divina è di per sé eterna e indivisibile. Padre e Figlio non possono dunque essere identici. Così facendo, Ario non negava di per sé la Trinità, ma la considerava costituita da tre diverse persone (treis hypostaseis) caratterizzate da nature diverse.
Costantino
Dopo l’editto costantiniano di tolleranza del 313, in Alessandria d'Egitto si fece largo la controversia trinitaria, e le tesi che Ario aveva cominciato a diffondere fin dal 300 si propagarono molto presto in tutto l’Oriente. Il vescovo rivale Alessandro ne condannò le posizioni come “eretiche”, ma Ario poteva contare su un partito molto numeroso di fedeli, che annoverava tra l’altro anche alcuni vescovi africani e un discreto numero di vescovi orientali, tra cui Eusebio di Cesarea ed Eusebio di Nicomedia che godevano di un forte prestigio anche presso la corte. La disputa oppose per anni il clero egiziano a quello della Palestina e della Bitinia, attirando l’attenzione dell’imperatore e del popolo. Nel tentativo di porre fine alla questione, che inizialmente Costantino aveva sottovalutato, nel 325 indisse, anche per le pressioni dei suoi consiglieri ecclesiastici che erano invece molto ben inseriti nella disputa, il Concilio di Nicea.
La convocazione del concilio non era però un fatto solamente religioso: all'imperatore stava a cuore soprattutto la stabilità dello Stato, e quelle questioni teologiche, con i disordini e le contese che ne derivavano, costituivano un problema politico che andava risolto con la sconfitta di una qualsiasi delle due fazioni. Costantino non aveva infatti convinzioni teologiche che lo facessero propendere particolarmente per l'una o per l'altra parte in conflitto. Benché invitati nel concilio a spiegare le loro idee, Ario ed Eusebio non riuscirono a convincere il sinodo: se infatti il Figlio di Dio non era uguale al Padre, allora non era neanche divino, o per lo meno non lo era quanto il Padre. E questo non era accettabile. La tesi poi secondo la quale "ci fu un tempo in cui il Figlio non c'era" faceva inorridire gli "ortodossi", che posero in minoranza e condannarono definitivamente le idee di Ario.
Il concilio elaborò un "simbolo", cioè una definizione dogmatica relativa alla fede in Dio, nel quale compare, attribuito al Cristo, il termine homooùsios (= consustanziale al Padre, letteralmente "della stessa sostanza"), che costituisce, tuttora, la base dogmatica del Cristianesimo storico.
In assenza del papa Silvestro I (che mandò comunque suoi legati), presiedeva l’assemblea il vescovo Osio di Cordova, favorito dell’imperatore (che comunque fu presente a tutte le sessioni dei lavori), la cui influenza sullo stesso imperatore ebbe facile gioco nel conquistare il sovrano alla causa dell’ortodossia della Chiesa romana. Gli eretici furono minacciati di esilio e Ario fu bandito e spedito in Illiria. La scarsa saldezza delle convinzioni teologiche di Costantino è però dimostrata dal fatto che in soli tre anni le sue posizioni nei confronti dell’arianesimo divennero assolutamente indulgenti e tolleranti: su suggerimento della sorella Costanza e per insistenza di Eusebio di Nicomedia, fu revocato l’esilio per i vescovi ariani, lo stesso Ario fu più tardi richiamato (nel 331 o 334) ed introdotto a corte, dove riuscì a tal punto a convincere l'imperatore della bontà delle sue opinioni, benché "eretiche", che lo stesso Costantino lo riabilitò e condannò all'esilio il vescovo Atanasio di Alessandria, che di Ario era stato tra i più acri oppositori. L’ariano Eusebio di Nicomedia sostituì Osio di Cordova nel ruolo di consigliere imperiale ecclesiastico, battezzando poi lo stesso imperatore in punto di morte.
L’affermazione nicena che definiva che il Figlio fosse Dio quanto il Padre, poneva però, nell’ambiente ariano ma anche in quello “ortodosso”, almeno tre grandi interrogativi:
Può Dio generare un Figlio?
Può Dio separarsi in se stesso?
Può Dio morire (in croce o in qualsiasi altro modo)?
I seguaci di Ario portarono alle estreme conseguenze le risposte alle tre domande, che avevano in comune la conclusione che il Figlio non aveva natura divina ma, in quanto creatura di Dio, era un tramite o intermediario tra la divinità e l’umanità. Ma all’interno del movimento ariano si verificarono comunque divisioni profonde, che portarono a tre gruppi principali:
1) la fazione radicale (detta degli Anomei), o Eunomiani dal nome del suo più importante esponente), fedele alla professione di fede originaria di Ario secondo la quale "il Figlio è in tutto dissimile al Padre" in quanto, essendo stato creato e fatto da ciò che prima non esisteva, non poteva definirsi generato;
2) la fazione dei "Semiariani" o ariani moderati, fra cui lo stesso Ario tornato dall'esilio ed Eusebio di Nicomedia, che ritenevano “il Figlio simile al Padre ma non per proprietà di natura, bensì per dono di grazia, nei limiti, cioè, in cui la Creatura può essere paragonata al Creatore";
3) ed infine i Macedoniani secondo i quali “il Figlio è in tutto simile al Padre, mentre lo Spirito Santo nulla ha in comune né con il Padre né con il Figlio.
L'arianesimo ebbe fortuna in particolare sotto gli imperatori Costanzo II (figlio di Costantino I, 337-361) e Valente (364-378) e nell'ultima fase dell'Impero Romano.
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