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Apollinarismo

Apollinarisno. Questa dottrina nacque per opera del vescovo Apollinare di Laodicea (310-390 d. C.), un teologo che si era distinto nella lotta contro l'Arianesimo. Per cercare di salvaguardare la divinità della persona di Cristo, negata dall'Arianesimo, Apollinare sosteneva la formula dell'unica natura (mìa phoesis) di Gesù, secondo la quale il Verbo Divino si sarebbe unito in Gesù Cristo ad un'umanità incompleta, cioè ad un'umanità dotata dell'anima vegetativa ed animale ma priva dell'anima razionale: il Verbo Divino avrebbe sostituito in Gesù Cristo quest'anima razionale assente.

A seguito della condanna dal Concilio di Costantinopoli (381) e del successivo esilio del suo fondatore (388) i seguaci furono dispersi.
Teologo erudito, amico di Atanasio di Alessandria e difensore del credo niceno, polemizzò contro pagani, manichei, contro Origene e contro Ario. Nella sua lotta antiariana, a partire dal 352, enfatizzò la natura divina di Cristo a scapito di quella umana, cadendo in una posizione cristologica eterodossa, detta da lui apollinarismo.

Condannato dai sinodi di Roma del 374 e 377, di Alessandria del 378, di Antiochia del 379 e dal concilio ecumenico di Costantinopoli del 381, Apollinare costituì ad Antiochia una comunità con una propria gerarchia ecclesiastica ma l'imperatore Teodosio I (379-395), con una ordinanza imperiale del 388, lo condannò all'esilio. Alla sua morte, i seguaci si dispersero nell'ortodossia e nel monofisismo di Eutiche.

Gli apollinaristi affermano che Cristo non ha un'anima razionale come l'uomo, avendo nell'incarnazione il Verbo assunto un corpo senza l'anima, per cui le manifestazioni della vita intellettiva dell'anima in Cristo sono dovute unicamente al Verbo. Polemizzando con gli ariani, Apollinare parte da Platone che nell'uomo distingue il corpo, l'anima sensitiva (psyché) e l'anima intellettiva (nous); il Verbo divino assume della natura umana soltanto il corpo e l'anima sensitiva ma non l'anima intellettiva, perché per Apollinare nell'unione, nella loro integrità, di due nature in sé perfette come quella umana e quella divina, verrebbe diminuita la natura divina; occorre dunque che nell'unione sia mutilata la natura umana.

Infatti, sostiene Apollinare, in un uomo completo deve esistere il peccato, che deriva dalla volontà, dallo spirito; dunque, per salvare l'impeccabilità di Cristo, è necessario eliminare l'anima intellettiva. A conferma della sua tesi è il versetto di Giovanni apostolo ed evangelista, il Verbo si fece carne (1,14), che Apollinare interpreta nello stretto senso di corpo e psiche. Secondo gli oppositori, negando la completa natura umana in Cristo si mette in discussione la sua opera redentrice perché i cristiani dovrebbero vedere in Cristo, oltre che Dio, un uomo in tutto eguale a loro, che soffre e muore come loro e per loro.  

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